ESPLORAZIONE DI UN SOMMERGIBILE NEL MARE DEL NORD – U2359
Subito penso “Perché no?”. Proprio la settimana precedente avevo parlato con Sergi Perez, un altro amico istruttore spagnolo che aveva già partecipato ad una prima parte di quel progetto e mi aveva raccontato che era stata un’esperienza fantastica.
Invogliato dalle parole di Sergi, rispondo convinto: “Ok, Ben! Vengo volentieri”. All’appuntamento mancavano quasi due settimane, ma dopo 10 minuti una telefonata di Ben mi comunica che i programmi erano stati accelerati a causa del cattivo tempo incombente e l’organizzazione avrebbe preferito averci sul posto addirittura il giorno dopo!
O…cavolo. Dopo un momento di “terrore organizzativo” metto insieme tutta l’attrezzatura possibile, prenoto letteralmente “al volo” l’aereo e via, verso una nuova avventura.
La Danimarca mi accoglie con un meteo orribile, con neve e ghiaccio. Va bene che è aprile, va bene che ho la muta stagna col riscaldatore, però…
Per strada Ben, nelle due ore che ci separano dal porto d’imbarco, mi spiega l’obiettivo dell’esplorazione e il lavoro che avremmo dovuto svolgere. In sostanza si trattava di questo: una produzione cinematografica danese stava realizzando un documentario su un’equipe di cacciatori di tesori, un gruppo di ex subacquei che, una volta in pensione, stavano rincorrendo il loro sogno di una vita: trovare, recuperare e organizzare una vera e propria mostra dove esporre dei tesori recuperati dal fondo del mare. In quel momento stavano lavorando sul relitto dell’U-2359, un sottomarino tedesco affondato dagli inglesi nel 1945 nel Kattegat, il braccio di mare che separa la Danimarca dalla Svezia. E, riferendosi ai “cacciatori di tesori”, aggiunge: “è gente della vecchia scuola”, strizzandomi l’occhio ad intendere che ne avremo viste delle belle.
Tra l’altro scopro che si tratta dello stesso gruppo che nel 2009 recuperò un intero U-BOOT per esporlo in un museo in Inghilterra.
Ben mi racconta che con Sergi, qualche settimana prima, erano scesi sul relitto del sottomarino ed avevano individuato il boccaporto principale d’ingresso, il periscopio e le antenne di comunicazione. Noi avremmo dovuto tentare di entrare nel boccaporto e penetrare nel relitto.
Tra le informazioni che mi avevano inviato c’erano le fotografie fatte dai mosquito inglesi della RAF scattate appena dopo l’affondamento del sottomarino dove si vedeva l’equipaggio che tentava disperatamente di nuotare per mettersi in salvo.
Probabilmente il sottomarino è stato attaccato mentre era in superficie e così il boccaporto è rimasto aperto.
Arriviamo la sera tardi al porto d’imbarco e troviamo il mezzo di supporto dal il quale ci immergeremo: la Susanne A, un moto-pontone di 65 metri allestito con moduli-container dedicati alle attività subacquee in alto mare. Per un appassionato di ricerca come me questo è il paese dei balocchi: due gru di cui una da 65 tonnellate, sonar multibeam (un sofisticato sistema sonar subacqueo), ROV (un mezzo subacqueo teleguidato), camera iperbarica, compressori per la ricarica delle bombole nitrox e trimix, bombole di stoccaggio, campana aperta, cesta da OTS, impianto di riscaldamento per le mute, più ovviamente le cucine, i servizi e i moduli dedicati agli alloggi dove avremmo dormito.
Insomma: tutto ciò che un subacqueo può desiderare, e anche di più. Il tutto per assistere 8 subacquei: tre in circuito aperto in side mount (Ben Bos, Benjamin Larsen ed io), tre con rebreather e due subacquei “commercial”, quelli che da noi si chiamano OTS.
La mattina successiva, al momento del briefing ci spiegano l’organizzazione delle immersioni e l’obiettivo della giornata: filmare il boccaporto di ingresso ed entrare nel sottomarino fin dove possibile. Il tutto con una temperatura dell’acqua di cinque gradi, una visibilità di un metro circa, una corrente bestiale, profondità di 67 metri e in configurazione side mount. Anzi, diciamo meglio: in pratica in no-mount, perché il portellone del sottomarino è largo solo 60 centimetri e per entrare, le bombole tocca proprio togliersele di dosso.
Prima di immergerci sul sottomarino, il ROV determinerà la posizione del relitto, e tramite queste indicazioni la Susanne A verrà spostata nel punto più opportuno. Il ROV inoltre darà indicazioni sulla corrente e sulla visibilità e soprattutto proverà a passare un cavo intorno al boccaporto per vedere se si apre, in modo da facilitarci le operazioni di ripresa. Guardando le immagini dalla sala di controllo del ROV vediamo un’acqua verde smeraldo e, come previsto, la visibilità è di circa due metri.
Prima di tuffarmi mi assale un dubbio: se perdiamo la cima di risalita, ci sarà o no un gommoncino, anche solo di 3 metri con un motorino da 5 hp che ci viene a riprendere? Insomma, un banale tenderino… Chiedo imbarazzato a Ben e lui ridendo mi indica una nave a circa 200 metri di distanza. Quella lì è il “tenderino”: una nave identica alla nostra che stazionerà per tutto il tempo dell’immersione accanto a noi. In sostanza abbiamo addirittura una “nave di backup”: ha tutte le attrezzature di riserva e ha il compito di posizionare le quattro ancore della Susanne A per garantirle un ancoraggio stabile anche in condizioni di mare mosso.
Intanto io e Ben ci prepariamo a scendere. L’acqua è fredda, la corrente è forte ma fortunatamente è solo superficiale, e in poco tempo siamo sul fondo. Il cavo del ROV ci guida direttamente nel punto che ci interessa e appena arriviamo sul relitto iniziamo a distinguere le forme delle antenne, del periscopio e la torretta con il boccaporto. Che però è chiuso: evidentemente il ROV non è riuscito ad agganciarlo. Non fa niente: troviamo al volo una cima e una sbarra metallica e facendo leva riusciamo ad aprirlo quel tanto che basta per poterci entrare dentro.
L’adrenalina sale a mille e in un momento mi passano davanti tanti pensieri ed emozioni..
Mi trovo qui, a quasi 70 metri di profondità, in mezzo al Mare del Nord, in un’acqua completamente verde e nera, inospitale, e sto aprendo un sottomarino della Seconda guerra mondiale, affondato 72 anni fa, con una specie di apriscatole improvvisato.
Via le bombole, proviamo ad entrare…
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L’U-2359 nel dettaglio
L’U-2359 era un sottomarino costiero appartenente alla classe XXIII della Kriegsmarine la Marina militare tedesca.
Veniva utilizzato durante la Seconda guerra mondiale con compiti di controllo e difesa delle acque territoriali tedesche nel Mare del Nord.
Era un sommergibile piccolo, lungo circa 35 metri, ma molto avanzato a livello tecnologico come d‘altronde tutti i sistemi sviluppati durante la guerra dai tedeschi.
Costruito nei cantieri di Amburgo nel 1944, fu affondato nel maggio del ’45 nello stretto del Kattegat (tra Danimarca e Svezia) dagli aerei de Havilland Mosquito che facevano parte di una squadriglia dell’inglese RAF e delle forze alleate canadesi e norvegesi. Nessuno dei dodici uomini dell’equipaggio si salvò.