La decompressione subacquea è una procedura fondamentale per garantire la sicurezza di ogni immersione.
Quando un subacqueo risale in superficie dopo aver trascorso del tempo in profondità, l’eliminazione dei gas respiratori disciolti nei tessuti avviene gradualmente.
Una risalita non corretta può portare a seri rischi per la salute, come la malattia da decompressione (MDD).
In questo articolo esploreremo tutti gli aspetti della decompressione: cosa significa, come pianificarla, e quali strumenti utilizzare per proteggere il tuo corpo durante le immersioni.
Sei pronto a scoprire tutto ciò che c’è da sapere per goderti al meglio il mondo sommerso? Continua a leggere!
Indice:
- Che cos’è la decompressione subacquea?
- Come si fa la decompressione subacquea?
- Quanto dura la decompressione subacquea?
- Cosa succede se non si fa la decompressione subacquea?
- Come riconoscere la malattia da decompressione?
- Come prevenire la malattia da decompressione?
- Come influenza il freddo la malattia da decompressione?
Che cos’è la decompressione subacquea?
La decompressione subacquea è il processo che permette al corpo di eliminare in modo sicuro i gas inerti (principalmente azoto) assorbiti durante l’immersione.
Quando si respira gas compresso in profondità, con l’aumento della pressione si ha una maggiore solubilizzazione dei gas nei tessuti.
Un errore durante la risalita, come ad esempio una risalita troppo rapida può provocare la formazione di bolle di gas nei tessuti e nel sangue, causando sintomi che vanno dal dolore articolare a complicazioni gravi come embolie gassose.
Come si fa la decompressione subacquea?
La decompressione avviene seguendo specifiche tappe di risalita e soste, note come “soste di decompressione”, stabilite da algoritmi decompressivi o tabelle di immersione.
Ecco i passi principali:
- Pianificazione pre-immersione: stabilire il tempo e la profondità dove si vuole andare
- Monitoraggio durante l’immersione: controllare i dati del computer subacqueo
- Soste di sicurezza: durante la risalita fermarsi a profondità prestabilite per il tempo necessario all’eliminazione graduale dei gas disciolti.
- Gestione della miscela respiratoria: l’uso di gas arricchiti come il Nitrox, l’ossigeno o il trimix può ridurre i tempi di decompressione.
Quanto dura la decompressione subacquea?
La durata della decompressione varia in base a:
- Profondità e tempo di fondo: immersioni più profonde e lunghe richiedono tempi di risalita più
- Miscela respiratoria: l’uso di gas specifici, come il nitrox, ossigeno e miscele trimix possono ridurre i tempi di decompressione.
- Fisiologia del subacqueo: caratteristiche personali, come l’età , condizione fisica, stato d’idratazione, stato termico possono influire sui
Non c’è un limite vero per la decompressione, si và da 3\5 minuti per una decompressione per un’immersione ricreativa fino a diverse ore nel caso di immersioni tecniche e addirittura fino a diversi giorni nel caso di immersioni professionali in saturazione.
Cosa succede se non si fa la decompressione subacquea?
Omettere o effettuare in modo scorretto la decompressione può portare alla malattia da decompressione (MDD). Questa condizione si verifica quando le bolle di gas si formano nei tessuti o nel sangue, causando:
- Dolori articolari e
- Prurito, eruzioni cutanee,
- Vertigini e confusione
- Disturbi respiratori e
- Nei casi più gravi, embolie gassose e
Un trattamento immediato è fondamentale e include ossigenoterapia, idratazione e, in alcuni casi, la ricompressione in camera iperbarica.
Come riconoscere la malattia da decompressione?
I sintomi della MDD possono variare in gravità. I segnali più comuni includono:
- Sintomi lievi: spossatezza e affaticamento, prurito, dolore alle articolazioni, eruzioni cutanee.
- Sintomi gravi: difficoltà respiratorie, vertigini, perdita di equilibrio, debolezza muscolare,
perdita di coscienza.
Se si sospetta una MDD:
- Somministrare ossigeno puro al 100%.
- Contattare il servizio di emergenza subacquea (DAN o altri centri iperbarici)
- Idratarsi bevendo acqua
Come prevenire la malattia da decompressione?
Una bella notizia: andare sott’acqua, secondo molti medici fa bene. Gli studi, infatti, indicano che una regolare attività subacquea produce una progressiva refrattarietà allo stress ossidativo, e quindi riduce la probabilità di contrarre parecchie malattie tipiche della vita quotidiana nel mondo occidentale. Ora, vediamo quello che possiamo fare per migliorare questi benefici effetti della subacquea. Lo si era già capito da qualche anno, ma negli ultimi tempi tutti gli specialisti stanno affermando in modo sempre più chiaro che gli incidenti subacquei da decompressione hanno un’origine multifattoriale, poiché dipendono non solo dai parametri dell’immersione, ma in modo rilevante dalla forma fisica del subacqueo e dalla risposta del suo organismo allo stato infiammatorio provocato dall’immersione stessa.
È quindi doveroso prendere in considerazione una serie di buone pratiche per migliorare l’efficienza decompressiva, così come si sta man mano delineando.
Le cause che possono portare ad incidenti decompressivi vanno divise in due grandi gruppi: quelle che non possono essere modificate e quelle modificabili.
Quelle non modificabili sono essenzialmente due: l’età del subacqueo e la sua situazione genetica.
È ovvio che un’età avanzata possa portare con sé delle “debolezze”, che possono andare da una ridotta potenza fisica (ad esempio minore capacità di affrontare sforzi, trasportare attrezzatura, nuotare controcorrente), a malattie croniche più o meno importanti o conclamate (diabete, cardiopatie) che possono rivelarsi pericolose.
In più, l’età aumenta la “risposta infiammatoria” che secondo gli ultimi studi è responsabile di buona parte dei sintomi della MDD. L’età oltre la quale bisogna porre maggiore attenzione (ma non certo sospendere l’attività) è di 50 anni, ma è chiaro che la situazione personale può spostare
questo limite anche di parecchio e va valutata da un medico esperto.
Inoltre, le ultime scoperte riguardano anche la genetica perché la capacità dell’organismo di sintetizzare alcuni composti (ad esempio il monossido di azoto – NO, che ha un’azione protettiva sulla MDD, o altre molecole legate allo sviluppo dei tumori e all’infarto) varia da individuo a individuo, giustificando entro limiti significativi anche la maggiore o minore suscettibilità di alcune persone alla MDD. In alcuni casi i medici specializzati in questo campo, se in possesso di tutti i dati clinici necessari, affermano perfino di poter calcolare statisticamente il rischio personale al quale ciascun subacqueo va incontro.
Le cause modificabili invece riguardano sia i fattori ambientali (quindi la conoscenza dell’ambiente in cui ci si immerge, la propria preparazione tecnica, l’attrezzatura di cui si dispone, le scelte personali), che lo stato fisico momentaneo del subacqueo, cioè in sostanza la sua salute, di cui peraltro ci si può prendere cura per migliorarla.
Come per altre attività fisiche, pensiamo a situazioni come l’ipertensione (pressione alta), il colesterolo alto, i cosiddetti “indici biometrici” (il BMI, indice di massa corporea e circonferenza dell’addome), il vizio del fumo, la presenza di eventuali caratteristiche fisiche personali come il forame ovale pervio (PFO), che può eventualmente essere corretto chirurgicamente. Tutti fattori che, con l’aiuto del medico e con un po’ di buona volontà, è possibile modificare per mantenerli entro valori di sicurezza.
A questi vanno aggiunti altri elementi che fanno parte delle buone pratiche di una vita sana poiché riducono l’eventuale stato infiammatorio cronico dell’organismo: un’attività fisica costante (almeno 90 minuti alla settimana) e un’alimentazione che privilegia frutta, verdura e comunque prodotti di qualità insieme ad una corretta e abbondante idratazione. Utile anche l’assunzione di polline d’api fresco deumidificato, di vitamina C (1 grammo due volte al giorno per 6 giorni e subito prima dell’immersione) e della cioccolata fondente almeno al 70% (30 grammi prima di immergersi).
Alcune regole poi riguardano direttamente l’immersione. Una prima indicazione riguarda le pressioni parziali dell’ossigeno e dell’azoto che, per limitare la risposta infiammatoria ed altri fenomeni negativi, non dovrebbero in ogni caso superare rispettivamente 1,4 e 3,2 bar, mentre la presenza di elio nella miscela respirata appare avere un effetto protettivo.
In pratica ciò ribadisce il consiglio di evitare di superare questa profondità (“No all’aria profonda”), come già indicato da alcune didattiche: oltre i 30-40 metri è senz’altro consigliabile l’uso di miscele Trimix (ossigeno, elio, azoto).
Altre indicazioni prevedono un intervallo di due ore tra le immersioni ripetitive (ad esempio le due immersioni classiche di un full-day), ma giudicano in modo benefico l’attività subacquea frequente (maggiore di 30 ore all’anno o comunque immersioni frequenti durante un certo periodo).
Un ruolo importante lo ha anche l’attività fisica: bisognerebbe evitare sforzi intensi (corsa, bicicletta), sia nelle 24 ore che precedono l’immersione che nelle due ore successive e nella giornata seguente. Gli sforzi andrebbero evitati anche in acqua, in particolare durante la discesa e la fase di fondo delle immersioni più impegnative, mentre un pinneggiamento leggero può essere utile durante la risalita e la decompressione. In ogni caso occorre evitare di sovraccaricare le articolazioni, eventualmente aiutandosi con uno scooter subacqueo.
Come influenza il freddo la malattia da decompressione?
Una nota importante va dedicata poi alla protezione termica. Gli obbiettivi di buona prassi prevedono l’evitare di immergersi quando si è troppo accaldati (attendere di arrivare ad una situazione di equilibrio), una discesa e fase di fondo in situazione “fresca” e una risalita e decompressione in una situazione di tepore: per ottenere questo risultato è molto utile usare una muta stagna e un corpetto-riscaldatore elettrico da accendere in risalita.
Tutto questo deriva da un famoso studio pubblicato nel novembre del 2007 dal NEDU (Navy Experimental Diving Unit): THE INFLUENCE OF THERMAL EXPOSURE ON DIVER SUSCEPTIBILITY TO DECOMPRESSION SICKNESS
Si trattava di un esperimento fatto all’interno della struttura iperbarica del centro di ricerche subacquee della Marina Americana di Panama City.
L’obbiettivo della ricerca era stabilire se e come lo status termale del subacqueo in immersione influisse sulla qualità e sulla suscettibilità all’MDD.
Per farlo sono state organizzate una serie di immersioni all’interno della struttura iperbarica del centro, struttura che ha permesso di controllare l’esposizione termica dei subacquei creando delle combinazioni di CALDO\FREDDO sia durante la fase profonda dell’immersione, che durante la decompressione.
I sub eseguirono esercizi al cicloergometro durante la fase profonda dell’immersione indossando costume da bagno, maglietta, calzari e guanti; sono stati a riposo durante la decompressione e successivamente sono rimasti per 4 ore in condizioni di riposo controllato durante il quale vennero
monitorati con indagini eco-cardio.
Sebbene non siano state prese misure fisiologiche per stabilire l’effettivo stato termico dei subacquei, i punteggi di autovalutazione indicarono chiaramente che i subacquei avvertivano freddo ad una temperatura di 26,7 C°, per ottenere invece la sensazione di caldo dovevano raggiungere una temperatura di 36,1 C°.
Pur non essendo la finalità della ricerca dimostrare i meccanismi fisiologici alla base degli effetti dell’esposizione termica sul rischio di DCS, i risultati ottenuti rafforzano l’idea che la dinamica dello scambio gassoso nei tessuti coinvolti nella DCS sia rallentata dalla vasocostrizione durante l’esposizione al freddo e accelerata dalla vasodilatazione durante l’esposizione al caldo.
Durante le 400 immersioni effettuate alla profondità massima di 37 metri e suddivise in sette serie necessarie a testare le diverse combinazioni di condizioni termiche, sono stati diagnosticati 21 casi di DCS. Di seguito una tabella riassuntiva che sintetizza i risultati dei test.
È interessante notare che:
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A parità di profondità, l’alta incidenza di DCS (22,2%) nelle immersioni con condizioni di freddo percepito sia sul fondo che in decompressione (C\C), rispetto alla bassa incidenza nelle immersioni dove il freddo veniva percepito solamente durante la fase profonda (C\W), indica chiaramente che l’esposizione al caldo durante la decompressione è utile a prevenire la DCS. L’incidenza di DCS è rimasta bassa (1,3%) anche nel caso di test alla stessa profondità ma con un tempo di fondo di 10 minuti più lungo.
- Gli effetti benefici del caldo durante la decompressione sono stati più pronunciati degli effetti deleteri del caldo durante BT; invece, gli effetti di un aumento di 10 C° di temperatura durante la fase decompressiva erano paragonabili agli effetti del dimezzamento del tempo trascorso in profondità.
- Visto che l’incidenza di DCS è stata simile per immersioni 37mt / 30 min W/C e 37mt / 60 min C/C si evince che l’esposizione al caldo durante BT è sfavorevole
- I cambiamenti di temperatura di 10 C° sembrano avere effetti paragonabili a quelli del raddoppio o del dimezzamento del tempo di fondo.
- Il caldo durante la fase profonda può accelerare l’assorbimento di gas e aumentare il rischio di DCS, mentre le stesse condizioni durante la decompressione accelerano l’eliminazione del gas e riducono il rischio di DCS.
Visti i risultati è chiaro che questi effetti devono essere incorporati come variabili indipendenti nei modelli decompressivi. Tali miglioramenti del modello, insieme ad un ulteriore lavoro di approfondimento, sono necessari per quantificare le relazioni che sono alla base di effetti della temperatura percepita e stabilire condizioni termiche ottimali in cui i benefici della decompressione al caldo possono essere realizzati.
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La decompressione subacquea è una componente essenziale per vivere l’esperienza subacquea in sicurezza e serenità.
Seguire le procedure corrette, utilizzare le attrezzature adeguate e pianificare l’immersione sono passaggi fondamentali per ridurre al minimo i rischi e godere appieno delle meraviglie del mondo sommerso.
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