Piroscafo S. S. Marsala

Tipologia di immersione

Cosa lega una nave scozzese con bandiera tedesca a un nome italianissimo  “Marsala”?

Una nave d’altri tempi, costruita lungo le sponde del fiume Clyde a Glasgow, in Scozia, nel lontano 1882 nei cantieri della rinomata Alexander Stephen & Sons. Dopo aver navigato per 30 anni nei mari di tutto il mondo, dall’Australia all’Europa, naufragò vicino all’isola di Giannutri in una notte di luglio del 1913.

Il Marsala era un piroscafo a propulsione mista, una nave costruita in un’epoca di transizione tra la vela e il motore. L’uso della propulsione a vapore si stava rapidamente diffondendo nei cantieri navali del vecchio continente, specialmente nella costruzione di navi da trasporto. Tuttavia, molti costruttori e marinai nutrivano ancora dubbi e preoccupazioni: per questo motivo, le prime navi a vapore erano spesso equipaggiate anche con un minimo di velatura, per offrire un supporto supplementare in caso di necessità.

Il Marsala fu commissionato dalla compagnia di navigazione Sloman, che richiese una propulsione ibrida per affrontare le lunghe rotte previste: Città del Capo, Melbourne, Adelaide, Sydney, Nuova Zelanda e Indie Occidentali. Il piroscafo trasportava merci, bestiame e passeggeri.

Le traversate atlantiche e il trasporto degli emigranti

Le rotte delle Indie durarono poco a causa della forte concorrenza. La Sloman Line destinò quindi il Marsala alla rotta Amburgo-New York, una delle più redditizie dell’epoca. Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, milioni di europei emigravano verso le Americhe in cerca di fortuna. La metà di questi emigranti erano italiani. Il Marsala si unì alla flotta di piroscafi che trasportavano merci e passeggeri, con una capienza fino a 600 persone in terza classe, la più economica. La traversata durava tra i 25 e i 30 giorni e le condizioni di viaggio erano durissime: sovraffollamento, scarse condizioni igieniche, malattie e, talvolta, naufragi.

Tra il 1886 e il 1897, il Marsala effettuò 34 traversate, trasportando oltre 7.970 passeggeri. Il 7 ottobre 1897 compì il suo ultimo viaggio sulla rotta atlantica. Il traffico navale su quella tratta era ormai dominato da piroscafi più grandi, moderni e veloci, rendendo il Marsala obsoleto per tale impiego. La Sloman Line lo riutilizzò per il trasporto merci su altre rotte.

Il Marsala diventa italiano

Nel 1911, dopo trent’anni di attività, il Marsala fu venduto alla società di navigazione genovese “Beraldo e Devoto”, che lo destinò alle rotte mediterranee per il trasporto merci. Nello stesso anno, con lo scoppio della guerra italo-turca, la Regia Marina Italiana requisì la nave come unità ausiliaria per trasportare materiali e truppe in Tripolitania e Cirenaica. Terminato il conflitto, il Marsala riprese il suo traffico commerciale nel Mediterraneo.

Il naufragio

Il 2 luglio 1913, alle 7:45 del mattino, il Marsala stava doppiando l’isola di Giannutri, diretto a Santa Liberata. Proveniva da Sfax, in Tunisia, con un carico di 3.500 tonnellate di fosfati per lo stabilimento di concimi chimici di Orbetello. Il mare era calmo, ma una fitta nebbia riduceva drasticamente la visibilità.

Per una tragica fatalità, il Campidano, un piroscafo del compartimento marittimo di Cagliari proveniente da quella città e diretto a Civitavecchia, navigava in quelle stesse acque.

Quando le due navi si avvistarono, era ormai troppo tardi. La collisione fu devastante: il Marsala fu quasi tagliato in due, l’acqua invase rapidamente lo scafo e la nave affondò in meno di dieci minuti.

A bordo vi erano 23 membri dell’equipaggio e quattro passeggere: la moglie del comandante, sua cognata, un’amica di famiglia e la figlia di un notabile di Sfax. A quell’ora, parte dell’equipaggio stava ancora dormendo. Risvegliati dall’impatto e dall’allarme, riuscirono a calare le scialuppe di salvataggio in tempo per mettersi in salvo.

Fortunatamente, nelle vicinanze si trovava un vapore tedesco che si affrettò a prestare soccorso insieme al Campidano. I naufraghi furono tratti in salvo e portati a Civitavecchia, dove ricevettero i primi soccorsi. Curiosamente, tra i superstiti vi era anche la cagnolina di bordo, recuperata mentre guaiva disperata su una tavola alla deriva.

Il Campidano subì solo danni lievi, mentre il Marsala scomparve per sempre nei fondali dell’Argentario.

L’immersione sul relitto

L’immersione sul relitto del Marsala è riservata a subacquei molto esperti a causa della profondità di -105 metri, delle forti correnti e della visibilità non sempre ottimale.

Il relitto è pedagnato, con una cima che porta direttamente alle stive, a circa 10 metri da ciò che resta della zona del cassero. Giunti sul sito, si percepisce subito l’età della nave: le uniche strutture ancora integre sono quelle in ferro e bronzo, mentre il ponte, le paratie e i rivestimenti in legno sono ormai crollati nel fango.

L’impatto con il Campidano provocò un enorme squarcio nella zona tra il cassero e la prua, un varco di circa 20 metri. Il successivo impatto con il fondale causò ulteriori crolli. Il fango conserva ancora oggi oggetti interessanti, mentre la natura ha reclamato il relitto: grandi rami di gorgonie gialle e corallo nero ricoprono le strutture, offrendo riparo a aragoste, musdee, cernie di fondale e scorfani di notevoli dimensioni. Nuvole di Anthias danzano intorno allo scafo come in un abbraccio, quasi a proteggere il Marsala dagli intrusi.

Questo tratto di mare è spesso frequentato da ricciole e altri pesci di grossa taglia in caccia, rendendo ogni immersione su questo storico relitto un’esperienza unica e suggestiva.